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Parco Archeologico di Egnazia

Egnazia è il sito archeologico più importante della Puglia e dista dall’Agriturismo Masseria Spetterrata solo 15 km.
Attraversata dalla via Traiana, fu una ricchissima città dedita a scambi commerciali e culturali in tutto il bacino del Mediterraneo. Oggi la bellezza della zona archeologica degli scavi ed il museo ricchissimo di reperti sono valsi al sito il soprannome di Pompei di Puglia. Una visita al Parco archeologico di Egnazia consente all’ospite della Masseria Spetterrata la possibilità di fare un tuffo nel passato di oltre 3000 anni, ed è una meta obbligata per gli amanti della storia e dell’arte.

Per avere chiara l’importanza storica ed archeologica dell’antica Egnathia è bene sapere che i più antichi reperti della città risalgono al XV sec. a.C. ,periodo preistorico dell’Età del bronzo. In seguito, intorno all’XI sec. a.C. ( Età del ferro), fu occupata dagli Iapigi, provenienti dall’Illiria. Dall’VIII sec. a.C. la città di Egnazia fu un importantissimo centro dalla popolazione italica dei Messapi. Il dominio messapico durò fino al III sec. a.C. , quando i Romani annessero Egnazia al territorio della Repubblica. Da allora il destino di Egnazia fu legato a quello dell’Impero Romano fino al decadimento dello stesso nel V sec. d.C. per opera delle invasioni gotiche.

La zona archeologica di Egnazia fu oggetto dei primi scavi nel periodo in cui la Puglia subiva la dominazione francese (1806-1815), sotto il viceregno di Gioacchino Murat. Più che scavi si trattò di veri e propri saccheggi da parte degli ufficiali dell’esercito francese, che trafugarono molti reperti per poi rivenderli a mercanti ed acquirenti senza scrupoli. Basti pensare che con i reperti provenienti dalle aree di scavo pugliesi, Carolina Bonaparte Murat, sorella di Napoleone I e moglie di Gioacchino Murat, arricchì notevolmente la sua collezione, formatasi durante il suo regno, di opere d’arte provenienti dalle terre dell’Italia meridionale. Alla cacciata dei Francesi, Carolina Bonaparte non mancò di portare con se la sua collezione, che poi rivendette a Ludwig I re di Baviera, amante dell’arte e dell’antichità, andando così ad impreziosire il famoso museo di Monaco detto Staatliche Antikensammlungen.

Successivamente, tra il 1842 ed il 1846, spinti dalla fame, furono gli stessi abitanti e contadini dei comuni limitrofi di Monopoli e di Fasano a continuare l’opera di saccheggio, dedicandosi alla ricerca di reperti di ogni genere, dalle ceramiche ai monili, dalle sculture agli oggetti preziosi, da rivendere per pochi denari ai mercati clandestini di Napoli, ma anche di Roma, Bari e Taranto. Le notizie di tali scavi abusivi raggiungevano dunque anche i palazzi di Napoli allora capitale del Regno delle due Sicilie. Il governo borbonico tentò dunque di porre rimedio a tale situazione, che per inciso si verificava anche in altre zone archeologiche dell’Italia meridionale e, specificatamente in Puglia nei siti di Ruvo e Canosa.

La Soprintendenza Generale degli Scavi di Antichità del Regno ordinò una ispezione in quei siti. Tale ispezione fu affidata all’architetto Carlo Bonucci. Quest’ultimo, sicuramente legato ai mercanti clandestini ed ammorbidito dall’intendente di Provincia, nella sua relazione sminuì l’importanza delle zone archeologiche pugliesi, suggerendo di concentrare gli scavi nelle zone più vicine a Napoli, ovvero Paestum, Ercolano e Pompei.

E’ facile immaginare che tale situazione abbia fatto la felicità dei mercanti clandestini e collezionisti d’arte dell’epoca. Gli scavi moderni effettuati con metodo regolare cominciarono nel 1912 attraverso varie ed intermittenti fasi. Dal 2001, con un accordo tra l’Università di Bari ed il Comune di Fasano si è ripresa l’attività di scavo, che continua ancora oggi portando alla luce nuove aree ed interessantissimi reperti.
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